In futuro paragoneremo il Coronavirus all’influenza spagnola del 1918 o all’epidemia di ebola che ha colpito l’Africa occidentale nel 2014? Probabilmente no. Ma per quali ragioni?
I coronavirus sono una famiglia di virus che infetta gli animali, in particolare i mammiferi e gli uccelli. Ciò nonostante, al momento, si conoscono almeno sette ceppi in grado di infettare gli umani, tra i quali figura anche il nuovo Coronavirus cinese, conosciuto anche come 2019-nCoV.
I coronavirus causano nell’uomo lievi infezioni respiratorie, paragonabili a un comune raffreddore. Possono, tuttavia, degenerare e causare malattie più gravi come nei casi della SARS (Severe Acute Respiratory Syndrome) e la MERS (Middle East Respiratory Syndrome), apparse per la prima volta rispettivamente in Cina e Arabia Saudita nel 2002 e nel 2012. I sintomi più comuni che mostra una persona infetta da Coronavirus includono febbre, tosse e difficoltà respiratorie. In casi estremi, l’infezione può causare polmonite, sindrome respiratoria acuta grave, insufficienza renale e morte.
Si trasmette, principalmente, attraverso saliva, tosse e starnuti, contatti personali diretti. Attualmente, si ritiene che il periodo di incubazione del Coronavirus – ovvero il tempo che intercorre tra il contagio e la comparsa dei primi sintomi – vari da un minimo di due fino a un massimo di 14 giorni dal momento dell'esposizione.
L’aspetto più allarmante del 2019-nCoV, al momento, è la sua rapida diffusione: si stima, infatti, che gli infetti abbiano già superato il numero che aveva fatto registrare l’epidemia di SARS nel 2002. Rassicurano, invece, la sua bassa mortalità e il dato non trascurabile che lega i decessi principalmente a persone anziane o con problemi di salute preesistenti.
Stando ai dati resi noti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, il nuovo Coronavirus supererebbe di poco, con 20.630 contagiati e 426 decessi, il 2% di letalità. Gli esperti, inoltre, evidenziano come, nell’80% dei casi, quest’infezione abbia decorso benigno, mentre solo nel 20% dei casi - in presenza di anzianità, immunodepressione o patologie croniche respiratorie o cardiocircolatorie - possa risultare fatale.
A ridosso della diagnosi di positività dei primi due pazienti identificati in Italia, un gruppo di virologi dell’istituto nazionale per le malattie infettive “Lazzaro Spallanzani” è riuscito a isolare il virus responsabile dell’infezione. La sequenza genomica del Coronavirus, depositata nella banca dati a libero accesso GenBank e messa a disposizione della comunità scientifica internazionale, permetterà lo sviluppo di nuovi metodi diagnostici e nuove strategie terapeutiche per la cura nel 2019-nCoV.
Al laboratorio di virologia dell’Università di Padova – membro della rete di laboratori europei ENVID (European Network for Diagnostics of “Imported” Viarl Dideases) specializzata nello studio dei virus da importazione - si deve, inoltre, la messa a punto del test europeo per la diagnosi del Coronavirus. Alla luce della sua alta sensibilità, consente di riconoscere la presenza del virus anche in condizioni di asintomaticità, fornendo delle diagnosi accurate in tempi estremamente rapidi.
Nonostante l’individuazione di un vaccino per contrastare il Coronavirus sia ancora lontana, dalla comunità scientifica internazionale arrivano segnali rassicuranti. La pandemia è ancora lontana: possiamo dire lo stesso della nostra psicosi?